La coltivazione del castagno si è diffusa lungo l’Appennino almeno dall’Epoca altomedievale ed ha rappresentato per secoli uno dei nutrimenti principali delle popolazioni di montagna. Proprio perché le castagne rappresentavano una fonte di nutrimento essenziale, la cura dei castagneti era regolamentata da norme precise contenute negli Statuti di Comunità, nonché da tutta un serie di operazioni che dovevano essere svolte con cadenza precisa.
In primavera si provvedeva al taglio dei rami secchi e dei “polloni”, cioè i nuovi getti che tolgono nutrimento alla pianta. In estate si procedeva con la pulitura dei castagneti, attraverso il taglio del sottobosco, per agevolare la raccolta vera e propria che avveniva dalla metà di ottobre in poi; era questo il periodo nel quale i regolamenti vietavano il pascolo di animali all’interno dei castagneti.
Il frutto veniva consumato fresco e fatto bollire (la ballotta, balocia nell’Altosavio, ballotti o balòci in Casentino) o cotto sul fuoco (la caldarrosta, brisgia nell’altosavio, bricia in Casentino) altrimenti veniva seccato e portato al mulino per la macinazione: la farina di castagne era il cibo principale delle comunità di montagna per tutto l’inverno. L’essiccatura avveniva in appositi edifici, i seccatoi, situati a volte all’interno degli stessi castagneti o di fianco alla casa colonica. Si trattava di costruzioni in pietra con una superficie dai 20 ai 50 metri quadrati circa a seconda della grandezza del castagneto e della produzione di castagne, e alte fino a quattro metri, con una porta in basso ed un’apertura in alto chiusa da uno sportello di legno. A circa metà dell’altezza dell’edificio si trova il “graticcio”, una sorta di solaio costruito con travi e travicelli che favoriva il passaggio del calore del fuoco, posto al piano terra, verso i marroni, posti sul graticcio stesso. Il fuoco rimaneva acceso giorno e notte ed era costantemente sorvegliato; ogni mattina si procedeva alla separazione della castagna secca dalla buccia, utilizzando un sacco di iuta tenuto da due persone e sbattuto su un ciocco di legno, o anche pestando le castagne con appositi scarponi. Una volta ottenuta una pulitura grossolana si procedeva alla separazione definitiva, ponendo il frutto in una sorta di piccolo vassoio di legno dove, con pochi colpi abili, si facevano rimbalzare le castagne buttando via definitivamente bucce e polvere. Con la farina di castagne si realizzavano tanti piatti, il castagnaccio, la polenta…
Sulla scarsa varietà dell’alimentazione e sull’importanza della castagna, il vero “albero del pane” (come lo definì Senofonte nel IV secolo a. C.) è curioso riportare una filastrocca dell’Alto Savio, nell’idioma sampierano, riferita ad una località montana, San Cataldo:
San Catal dal bon engegn,
vin ed nuvle, pan ed legn,
per cambiar questa vivenda:
brisgi, baloci, castagni e pulenda
San Cataldo dal buon ingegno, vin di nuvole, pan di legno. Per cambiar questa vivanda: caldarroste, ballotte, castagne e polenta.
Leggendo fra le righe, il “vin di nuvole” è l’acqua. Nella parte alta delle vallate, per questioni climatiche, non c’era una grande produzione di vino. Fa specie in questo senso il caso di Strabatenza, luogo di vigne che davano un buon vino, anzi due: uno bianco ed uno rosso, che Soldani da Poppi, cancelliere della Podesteria di Galeata nella seconda metà del ‘700, descrive con un’ardita licenza poetica per esigenze di rima: “fa ripien d’alma fragranza/quel liquor di Strabatanza”. Il “pan di legno” era invece la castagna, così preziosa per la dieta dei montanari, a cui è dedicata l’ironica conclusione della filastrocca in cui si dice che per cambiar vivanda si mangiano… ancora castagne! Castagne in tutte le forme possibili, fino alla polenta preparata con la farina… di castagne!

Castagneto – Giordano Giacomini 
Castagneto – Giordano Giacomini 
Castagneto nella Foresta della Lama, 1942 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Castagneto nella Foresta della Lama, 1942 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Castagneto, 1940 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Castagneto, 1940 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Castagneto, 1940 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Castagneto, 1943 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Castagneto, 1946 – Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Contadinello al mercato dei funghi 1930 – Il Bosco e lo Schioppo 
Eremo nuovo con essiccatoio castagne in primo piano – Archivio Parco 
Essiccatoio – Nevio Agostini 
Vecchio essiccatoio zona Pian del grado, 2002 – Federica Bardi