Nei tempi in cui il gas e il petrolio non erano ancora stati introdotti il carbone era la principale fonte di energia, domestica e industriale. Nell’Appennino Tosco-Romagnolo quello del carbonaio è stato un mestiere ampiamente diffuso fino alla metà del XX secolo.
Il lavoro consisteva nella realizzazione di carbone vegetale, ed era svolto principalmente nei boschi appenninici. Talvolta ci si spingeva anche in località molto lontane, con la pratica delle migrazioni stagionali. Molti uomini, infatti, per necessità economiche, erano costretti ad allontanarsi dai paesi d’origine durante l’inverno, lasciando le case abitate solo da donne ed anziani. Le zone di destinazione più ricorrenti erano la Maremma, l’Appennino Tosco-Emiliano, il Viterbese, ma anche la Calabria e la Sardegna.
L’organizzazione del lavoro della squadra dei carbonai seguiva delle fasi ben precise e contemplava ruoli e “gerarchie” definiti. Il Capomacchia, ricevuto l’incarico dal concessionario del bosco, pensava a contattare a sua volta una squadra di carbonai. Ogni squadra era costituita da un capo squadra o guidafoco (in Casentino), da un altro o due adulti, e il meo, un giovane garzone, spesso un bambino, addetto ai lavori più umili. Giunti sul posto assegnato, si procedeva alla costruzione della capanna con i materiali trovati sul posto: legname, arbusti, zolle di terra.
Era un’attività che richiedeva un sapere complesso, e che doveva tener conto non solo della geometria, nella costruzione della carbonaia, con i camini per lo sfiato del fumo, ma anche delle condizioni metereologiche, a partire dal vento. I carbonai casentinesi erano molto abili nel loro mestiere, ed erano infatti ingaggiati per svolgerlo anche nel versante romagnolo. Particolarmente rinomati erano i carbonai di Cetica e Montemignaio.
Si procedeva, innanzitutto, a creare “la piazza” per la cottura del carbone: un piano di terreno circolare senza pendenze. Non è così infrequente trovare ancora oggi le tracce di questi luoghi, che mantengono la forma rotondeggiante e, soprattutto, il terreno più scuro.
A questo punto si costruiva la struttura di avvio, posizionando i pezzi a due a due gli uni sugli altri in maniera che i legni dei due livelli vicini risultassero perpendicolari. Questo elemento centrale, lasciato vuoto, rappresentava il camino della carbonaia, e intorno a d esso si posizionava altra legna.
Si passava alla realizzazione del calzolo: l’anello costituito da zolle di terra posizionato alla base del cono, ricoprendo poi il volume della carbonaia con erba, o foglie secche, onde impedire al successivo strato di terra, distribuito uniformemente sulla superficie, di penetrare all’interno.
A questo punto si accendeva finalmente la carbonaia, procedendo poi alla chiusura del camino con una grossa zolla. La combustione interna veniva guidata all’esterno dal carbonaio per mezzo di un palo, praticando piccoli fori attraverso la terra. Nei 5-7 giorni che seguivano, a seconda della grandezza stessa della carbonaia, si doveva alimentare la carbonaia con nuovi pezzi di legno. A cottura completata il colore del fumo diveniva bianco-azzurrognolo, il suono della legna quasi metallico, il profumo stesso più intenso.
A questo punto si iniziava lo smontaggio della carbonaia.
Una volta raccolto il carbone, si passava all’insaccatura e quindi al trasporto e alla vendita. Si distinguevano quindi, a seconda delle essenze legnose, carbone forte, con alto potere calorico, ricavato dal cerro, dalla quercia, dal leccio e dall’orniello, il carbone dolce, di basso potere calorico in quanto realizzato cuocendo legna di faggio, carpino e nocciolo, e infine il carbone pigna, realizzato esclusivamente con legna di castagno, l’unico utilizzato dai fabbri per la tempera dei ferri.
Una curiosità: è facile avvicinare il carbonaio all’uomo nero delle fiabe, figura che turbava i sogni dei piccoli dopo le serate attorno al focolare a sentire storie di ogni genere.
Una celebre ninna nanna diffusa nell’Appennino Tosco-Romagnolo recita:
Ninna oh, ninna oh, questo bimbo a chi lo do
Lo darò alla befana che lo tenga una settimana
Lo darò all’uomo nero che lo tenga un anno intero
[…]
L’origine (siamo ovviamente nel campo delle ipotesi) potrebbe cercarsi nella consuetudine, in uso presso alcune famiglie specie se numerose ed indigenti, di inviare un proprio figlio al seguito della squadra di carbonai in qualità di garzone per imparare il mestiere.

Campigna, 1929 – Archivio Pietro Zangheri 
Capanna del carbonaio – Il bosco e lo schioppo 
Capanna del carbonaio – Il bosco e lo schioppo 
Carbonaia (tratto da ‘I carbonai. Un mestiere in bianco e nero’ di Pier Paolo Zani Ed. Pazzini) 
Carbonaia accesa (tratto da ‘I carbonai. Un mestiere in bianco e nero’ di Pier Paolo Zani Ed. Pazzini) 
Carbonaia, 2022 – Roberta Marchi 
Carbonaia, 2022 – Roberta Marchi 
Carbonaia, 2022 – Roberta Marchi 
Carbonaio (tratto da ‘I carbonai. Un mestiere in bianco e nero’ di Pier Paolo Zani Ed. Pazzini) 
Muli carichi di carbone – 1935 (Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni 
Muli carichi di carbone – 1935 (Archivio Fotografico Dott. Torquato Nanni